Riproduzione post-mortem (II)

 

Nel 1999 una donna di 21 anni ha chiesto di prelevare gli ovuli dalla sua sorella di 19 anni, il cui cervello è morto dopo un incidente d'auto, per la loro crioconservazione e la successiva concezione del bambino. Gli specialisti dell'Università di Washington hanno soddisfatto la sua richiesta.

Nel giugno 2010, all'amministrazione di uno degli ospedali di Boston si sono rivolti i parenti della paziente che era in coma profondo. La sua famiglia ha chiesto di prelevare il materiale biologico dalla donna allo scopo di concepire un bambino. La donna di trentasei anni che aveva l’embolia polmonare, non dava segni di vita, ma era ancora viva. I medici americani, che più volte avevano eseguito il prelievo di sperma per le mogli dei morti mariti, con la possibilità di prelievo post-mortem degli ovociti (per lo più il prelievo da una persona che di fatto era ancora in vita) si erano scontrati per la prima volta. La situazione si complicava anche per il fatto che la donna in questo caso doveva essere sottoposta alla stimolazione ormonale. Alla fine, dopo aver valutato tutti i "pro" e i "contro", i medici sono stati costretti a respingere la richiesta della sua famiglia. E in questo caso la causa principale del rifiuto non era quella medica ma quella legale ed etica. Non c'erano prove della presenza del consenso della paziente a tale procedura. Essa per molto tempo utilizzava i metodi contraccettivi e non voleva avere i figli.

In alcuni paesi (ad esempio, gli Stati Uniti e Israele) per i militari è ormai la norma di rilasciare lo sperma prima di un viaggio in "punti caldi". Questo è quello che è successo con il sergente Sutherland prima di partire in Iraq. Lui aveva l’intenzione dopo la guerra, di concepire un figlio con la moglie Maria, ma è stato ucciso nel 2005. Sei mesi più tardi, la sua moglie ha usufruito del programma di fecondazione in vitro e ben presto ha dato alla luce un bambino.

Ma lo sperma dell'uomo morto non può  essere utilizzato solo da una vedova. Recentemente, il tribunale israeliano ha stabilito che i genitori del soldato deceduto possono utilizzare lo sperma di suo figlio per l'inseminazione artificiale di una donna  la quale lui nemmeno conosceva cioè di una madre surrogata. Sempre in Israele il rilascio del materiale biologico prima di eseguire la chemioterapia è un obbligo di legge.

I programmi riproduttivi post-mortem sono diventati possibili anche in Iran. Nel 2006, sono stati registrati due casi presso la corte iraniana che riguardavano la riproduzione post-mortem. Nel primo caso, il padre del defunto ha chiesto alla corte di consentire il trasferimento di due embrioni crioconservati del suo figlio nell'utero della madre surrogata. Nel secondo caso, la moglie del paziente, al quale rimaneva solo qualche mese di vita, voleva ottenere il permesso di trasferire gli embrioni congelati nel proprio utero. Tuttavia, prima della morte dell'uomo è stato possibile ottenere il suo consenso a questa procedura, cosa che ha semplificato notevolmente la valutazione del caso da parte del giudice. Entrambe richieste sono state soddisfatte.

Nel 1994 i cittadini americani Mario e Elsa Rios sono morti in un incidente stradale. I loro embrioni congelati erano conservati in una banca e i parenti dei defunti  hanno deciso di trasferire gli embrioni nel corpo della madre surrogata, ma la corte di California ha stabilito che tali figli per legge non potranno essere considerati come i figli della coppia defunta e non potranno ereditare la loro ricchezza visto che non c’è un consenso scritto da parte della coppia.

In pratica, le questioni della riproduzione post-mortem spesso finiscono in un vicolo cieco. Ai parenti è difficile dimostrare che il paziente ha acconsentito all’uso dei suoi gameti o embrioni dopo la sua morte. È chiaro che quando si parla di una malattia oncologica o della partecipazione alle operazioni militari, la persona è a conoscenza del possibile evento infausto e in anticipo può preparare un documento che confermi la sua volontà. Ma quando si verifica la morte all'improvviso, è molto difficile dimostrare che durante la vita l’uomo pensava alla possibilità di concepire figli dopo la morte. È interessante notare che, anche quando si rilascia il materiale biologico in una banca appropriata, questo da una parte può dimostrare il desiderio dell’uomo di avere un bambino, ma davanti al giudice questo fatto non può essere considerato come la prova, perché le leggi della maggior parte dei paesi stabiliscono che per poter accedere a tali programmi deve essere presentato un consenso scritto del defunto.

Nel 1993, negli Stati Uniti, c'era un caso: prima di commettere il suicidio, un avvocato americano rilasciò il suo sperma in una banca e lasciò un consenso in cui permise alla sua sposa di usare il suo biomateriale per la nascita di un bambino. I suoi figli adulti si opponevano fortemente a questa decisione, ma alla fine la Corte d'Appello della California ha riconosciuto che una persona ha il diritto di determinare il destino dei suoi gameti e così la donna è riuscita ad utilizzare il suo seme per la fecondazione.

Nonostante la pratica dell'esecuzione di tali programmi, non vi è ancora una chiara regolarizzazione. Sotto la questione rimane anche la registrazione di tali bambini, nonché la protezione dei loro diritti di proprietà.

Alcuni paesi vietano l'uso dei gameti dopo la morte indipendentemente dalla volontà del defunto. Tra i questi sono: la Germania, la Svezia, il Canada, la Francia e alcuni stati dell'Australia. In Israele, per esempio, è consentito eseguire l'impianto di embrioni nel grembo della moglie entro un anno dalla morte del marito anche senza il suo consenso preventivo. Tuttavia, nel caso della morte della moglie, gli embrioni non possono essere utilizzati. In Regno Unito si deve presentare il consenso scritto del defunto e negli Stati Uniti e in Belgio sono permessi tali programmi anche senza il suo consenso. Anche la legislazione spagnola richiede un consenso preliminare e riconosce i bambini che sono nati in seguito alla pratica di fecondazione assistita dopo 6 mesi dalla morte del coniuge come i bambini nati dopo la sua morte.

Anche se nella maggior parte dei paesi sono legalmente stabiliti i limiti di tempo entro i quali si possono effettuare i programmi di riproduzione post-mortem, gli psicologi dicono che tali programmi è meglio eseguire dopo 6-12 mesi dalla morte di una persona cara. Questo consente di attraversare un periodo di perdita e di non prendere decisioni affrettate e dettate dallo stato di instabilità emotiva e dallo shock.

 

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